Desiderio o attaccamento per la felicità
- Pierluigi Casolari
- 28 mar 2024
- Tempo di lettura: 3 min
In questi giorni mi capita spesso di riflettere sul rapporto tra felicità e attaccamento. E' indubbio che i tempi sono cambiati, se la mia generazione - gli sconosciuti X - e quella dei millennials era ossessionata dal successo e quella precedente - i boomers - dalla carriera e dallo status sociale, quelle più giovani stanno scoprendo sin da subito l'importanza della felicità e dello star bene. E' un passaggio quantico, che sottovalutare come fanno quelli che vogliono essere critici di ogni cosa moderna è profondamente ingiusto e rende incomprensibile il nostro tempo.
Una fascia sempre più grande della popolazione è alla ricerca della felicità. Qualcuno parla di YOLO economy, You only live only economy. Intorno a questa ricerca della felicità - che a sua volta si basa sulla finalmente raggiunta consapevolezza che si vive una volta sola, appunto - è cresciuta un intera economia, un gergo e delle grandi trasformazioni sociali. Ne accenno solo alcune: il nomadismo digitale, ovvero il vivere nel mondo senza una patria propria, esplorando e gustando tutti i paesi del mondo, le great resignation, ovvero il mollare un lavoro che non risponde alla nostra vocazione, il quit quitting, ovvero il lavorare il minimo indispensabile, per potersi dedicare a tempo libero e passioni, il tema del work-ife balance, cioè la ricerca di un miglior equilibrio tra il tempo e le risorse dedicate al lavoro e quelle dedicate alla vita. E poi perchè non menzionare l'esplosione dello Yoga e della Mindfulness, anche a livello aziendale, come strumenti e pratiche per ridurre stress e trovare un migliore bilanciamento corpo-mente.
Si tratta solo di alcuni esempi della rivoluzione della Yolo economy e della ricerca della felicità come leitmotiv di un nuovo sentire e di una nuova visione del mondo che è by design nei giovani e frutto di uno sforzo disumano di crescita personale per boomers, X e millennials che si sono dovuti liberare di un'infinità di condizionamenti per arrivare a tale sentire. Hanno dovuto fare una metamorfosi e una muta. Un gigantesco salto di coscienza, direbbero i teorici della spirale dinamica, che li ha portati dai meme orange e blue, a quelli green e yellow, persino Turchesi, in alcuni casi.
Questi sono gli anni della ricerca del purpose, del fenomeno ikigai, la scoperta della vocazione come momento di autorealizzazione. Maslow direbbe che siamo entrati nella fase dell'autorealizzazione. I bisogni non sono più materiali, forse perché in gran parte risolti, non sono nemmeno quelli dell'appartenenza al gruppo, forse perché spesso deteriorati in clan, club, etnie asfittiche. Non sono nemmeno più quelli del successo professionale. I bisogni e i desideri sono quelli dell'autorealizzazione, della felicità, dell'eudaemonia.
La teoria dei bisogni di Maslow però è difficilmente compatibile con lo sviluppo spirituale, che proprio in questi anni sta avendo a sua volta un'accelerazione insperata. Lo sviluppo spirituale ci invita in buona misura a decentrarci rispetto al nostro ego, a non inulgere nei piaceri e nei bisogni, a connetterci allo spirito assoluto.
Da un lato dunque abbiamo nuovi bisogni sofisticati ed elevati - il bisogno di autorealizzazione. Dall'altro abbiamo un ulteriore percorso che è quello che ci porta ad allentare la stessa presa sui bisogni, la famosa presa leggera sui desideri di cui parla Jack Kornfield, gigante del buddismo contemporaneo. Come fare stare insieme questi due percorsi? Sono compatibili? Sono integrabili?
Per quanto sofisticati i bisogni di autorealizzazione sono comunque bisogni e la parola bisogno è proprio il punto di unione di desiderio e attaccamento. E proprio negli attaccamenti tutta la spiritualità vede la causa dell'infelicità. Per il buddismo la ricerca della felicità porta automaticamente all'infelicità. Eppure senza quella ricerca nemmeno arriveremmo al buddismo, in quanto molto probabilmente ci limiteremmo a restare nel loop di piaceri sensoriali, soddisfazioni sociali, belle case e vacanze rilassanti. Invece no, il percorso di crescita ci porta a bisogni di realizzazione spirituale e proprio in quel punto, in quel momento, ci rendiamo che quello stesso bisogno è a sua volta un ostacolo per la crescita stessa.
Non credo che ci sia una soluzione chiara, come direbbe Ken Wilber si tratta di due percorsi. Da un lato c'è la crescita personale che si sviluppa lungo un percorso di sempre maggiore autorealizzazione e apertura. Dall'altro c'è un percorso di crescita spirituale, che ha al suo vertice l'eliminazione di qualunque identificazione con il sè - che abbiamo fatto crescere tramite la crescita personale.
I due percorsi però possono procedere in parallelo e avere un primo incontro temporaneo e parziale nell'idea che l'autorealizzazione, la felicità e la vocazione vadano si ricercati, ma con una presa morbida sul desiderio, con la capacità di notare e fermare sul nascita ogni trasformazione del desiderio in attaccamento.




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