Sub specie aeternitatis - pratica spirituale
- Pierluigi Casolari
- 4 mar 2024
- Tempo di lettura: 4 min
Roger Walsh nel libro Essential Spirituality ci invita a fare una pratica che nella mistica cristiana viene identificata come Sub specie eaternitatis, ovvero guardare alla vita dalla prospettiva della vita eterna. La pratica funziona nel seguente modo.
Inizialmente ci si rilassa e concentrando l'attenzione sul respiro, per qualche minuto. Questa fase preliminare serve per entrare in uno stato meditativo.
Dopodiché si prova a visualizzare la propria vita su un arco di tempo lungo svariati diversi anni. Guardando al futuro, a quello che succederà a noi e alle persone che conosciamo. Nel momento in cui questa immagine si stabilizza raddoppiamo il numero di anni che abbiamo visualizzato prima, guardando alle nostre vite su questa proiezione ancora più grande. Una volta stabilizzata questa immagine, raddoppiamo ancora e ancora, dando occhiate sempre più veloci al quadro delle nostre vite. Ora però lungo questo ampio orizzonte non ci saranno più solo le nostre vite, ma anche quelle dei nostri figli, nipoti, pronipoti. Raddoppiamo ancora e ancora. Iniziamo ad osservare come dall'alto non solo la nostra progenie, ma anche la società e le nazioni nel loro insieme. Seguiamo questa trasformazione nel tempo, con uno sguardo sempre più a volo d'uccello. Allargando e allargando fino a visualizzare l'eternità. Poi dimoriamo in questa sensazione per qualche minuto.
Terminata la visualizzazione, proviamo a rispondere alle seguenti domande: qual'è il senso della nostra vita in questa prospettiva? Che cosa stiamo facendo in questo momento-periodo che dovremmo fare di meno, perché non ha alcun senso in questa prospettiva sub specie aeternitatis? Che cosa invece dovremmo fare di più? E poi ancora come ci sentiamo guardando la nostra vita sotto questa prospettiva?
Dopo avere abbozzato le risposte con la mente, scriviamole su un nostro diario o da qualche parte. Soffermiamoci un po' sulle sensazioni che proviamo e su altre intuizioni che emergono. Cerchiamo di non usare la mente, ma di scrivere e -o rispondere intuitivamente, con la saggezza intuitiva del pensiero immaginativo.
Quando ho fatto questo esercizio per la prima volta, in una versione leggermente diversa - come è utilizzato nelle meditazioni stoiche di Marco Aurelio - la sensazione che ho provato è che la mia vita individuale non avesse alcun senso. Non tanto perchè facessi cose senza senso, ma piuttosto perché qualunque cose possa essere fatta è meno di una minuscola parte di un minuscolo granello di sabbia di un deserto grande come l'infinito. In questa prospettiva ciascuno di noi riprende il contatto con la propria dimensione minuscola. L'idea di incidere, di contare, di avere un senso, di essere importanti si dissolve immediatamente in questa visualizzazione. Siamo meno di nulla. Ma allora se siamo così piccoli, transitori e ininfluenti - e non cambio molto se siamo sconosciute persone o presidenti di qualche stato, assassini o personaggi famosi, monaci o poliziotti - come dovremmo vivere la nostra non importante vita?
Rifacendo l'esercizio ho pensato una vita sensata in questa prospettiva, sarebbe stata proprio quella di dimorare in questa dimensione di eternità, come un puro osservatore. D'altra parte è proprio questo l'obiettivo dell'esercizio, mettersi nei panni dell'assoluto, non dell'individuo. guardare il kosmo come potrebbe guardarlo lo Spirito o Dio.
Allora da questo punto di vista, la prospettiva cambia. Perchè da questo punto di vista è come se noi veramente osservando le cose in questo modo, simulassimo il punto di vista dell'Assoluto. E questo ci aiuta a capire che in un certo è proprio questa l'illuminazione. Riconoscersi come parte dell'eternità, piuttosto che microscopico frammento. Ovviamente l'illuminazione non è " far finta di" ma è un esperienza diretta a questo tipo di esperienza universale e assoluta. Eppure potremmo usare questo esercizio per "far finta di essere" illuminati e guardare l'universo con totale equanimità non solo nel senso di distanza, ma nel senso di sguardo da un punto di vista altissimo.
Ma oltre a questo che cosa ci può insegnare questo esercizio sulla vita reale, quotidiana, sul nostro piccolo sè? In realtà nulla. Perchè sotto questo punto di vista, ogni agire è insensato e inutile, che io sia uno stupratore o un martire altruista, in questa pratica è tutto totalmente indifferente.
L'uso scorretto di questa pratica è pensare che essa dia una prospettiva al piccolo sè. Ai suoi minuscoli problemi - la ragazza mi ha lasciato, devo confessare un reato, vogliono dirglene due a quel tipo, non sopporto il mio caso, odio mia suocera. Ma non è così. Il piccolo sé deve fare un percorso diverso di crescita personale all'interno del suo piccolo mondo. Ma il percepirlo come inutile e irrilevante non è di nessuno aiuto, a meno che non si viva in una grotta.
Ma allora a cosa serve questa pratica? Serve ad assaggiare la prospettiva di Big Mind, di Atman, dell'illuminazione e del Nirvana. Sente a capire cosa significa guardare il mondo sub specie aeternitatis esattamente come fare lo Spirito assoluto, e sviluppare una mentalità completamente contemplativa. Ma non in alternativa alla nostra vita reale, ma come suo complemento spirituale. Come suggerisce infatti Ken Wilber la crescita personale segue almeno 4 strade: il risveglio spirituale - che punta a raggiungere una prospettiva sub specie aeternitatis - la crescita personale, che si propone di aiutare la persona a vivere con soddisfazione ed eticamente in questo mondo, la purificazione psicologica, che mira a creare una personalità integrata e completa, lo sviluppo delle intelligenze multipla che permette all'individuo di sviluppare tutti i propri talenti.



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