Ossessione vs Vocazione
- Pierluigi Casolari
- 9 set 2024
- Tempo di lettura: 3 min
Il confine tra vocazione e ossessione è sottile. Ma come riconoscere che si sta passando dalla vocazione all'ossessione? Come distinguere un lavoro o un'attività che ci appassionano da altri che ci ossessionano? La vocazione è positiva e l'ossessione negativa? Sempre?
Innanzitutto una premessa, che cosa sono la vocazione e l'ossessione?
Semplificando davvero molto, potremmo dire che la vocazione ha a che fare con la realizzazione di una parte importante di noi. La vocazione è legata ad un campo simbolico di interesse e ad una serie di attività che ci piace realizzare. La vocazione è parente della felicità. Gli antichi greci parlavano di "daimon" e di "virtù". Nel contesto della vocazione, non è importante solo il risultato di quello che facciamo, ma anche il processo, il "qui e ora" di ogni cosa che realizziamo. In quanto la vocazione non è altro che "essere" o "diventare" sé stessi. Va dunque che nel contesto della vocazione non c'è separazione tra processo e risultato, qui e ora e desiderio di un futuro migliore.
L'ossessione ha invece a che fare con una dimensione personale, che però ci riconduce direttamente ad una ferita importante di noi. Nell'ossessione il desiderio si trasforma in brama, bisogno e dipendenza. Le ossessioni non afferiscono soltanto alla sfera relazionale, ma anche all'ambito lavorativo. E' per questo che sono assimilabili, apparentemente alla vocazione. In entrambi i casi, l'individuo è coinvolto appassionatamente in una determinata attività, fino al punto di dimenticarsi tutto il resto. Tuttavia, l'ossessione è molto più legata al raggiungimento di obiettivi rispetto alla vocazione. In quanto gli obiettivi sono ciò che ci permette di dimostrare qualcosa di noi agli altri o a noi stessi.
Quando l'obiettivo lavorativo è per lo più identificato al fare soldi, fare carriera, avere potere, guidare un team, diventare famosi e quando esso è collegato ad una grande determinazione, abnegazione, identificazione allora siamo nella sfera dell'ossessione. In tutti questi casi l'obiettivo conta di più del processo ed esso viene perseguito con tutte le forze, in quanto si fa dipendere da esso il proprio senso di sé stessi.
Processo verso risultato. Ecco il punto determinante per comprendere la differenza tra i due poli della vocazione e dell'ossessione.
Se la mia vocazione è insegnare Yoga, essa si manifesterà non solo quando insegno Yoga, ma anche quando studio, approfondisco, faccio il corso per imparare nuove tecniche, mentre preparo la lezione, mentre approfondisco, quando gli studenti mi scrivono per avere informazioni, quando parlo con loro a fine lezione, quando mi chiedono un consiglio che esula un pochino dalle tecniche e diventa più personale. Ognuno di questo momento fa parte della vocazione, e viene illuminato di una luce che lo rende significativo e pieno.
Se invece la mia vocazione è diventare famoso, molto difficilmente si tratta di una vocazione, in quanto non c'è nulla nell'anima di una persona che cerca la celebrità, nessun archetipo rimanda all'essere famoso, nessuna virtù ha a che fare con questo desiderio. Nessuna qualità dell'anima porta un individuo a cercare di essere famoso. Sono piuttosto le ferite dell'anima che ci portano ad avere quell'ossessione: genitori che non ci hanno amati, madri che ci hanno abbandonati, traumi e dolori profondi dell'infanzia, il più delle volte.
Ne dobbiamo dedurre che la vocazione è incompatibile con l'essere famosi, avere successo, arricchirsi, avere potere? No di certo. Il punto tuttavia è che chi segue la vocazione, cerca di autorealizzarsi impegnandosi in un'attività che di per sé, nella sua mera esecuzione genera un sentimento positivo, la felicità e un senso di pienezza. La coltivazione di questa attività nel corso del tempo genera come conseguenza indiretta in alcuni casi: ricchezza, successo, popolarità. Al contrario l'area semantica dell'ossessione è legata agli obiettivi e generalmente si tratta di obiettivi astratti di riconoscimento sociale.




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