Nuovi tipi di meditazione e superamento dei propri schemi mentali
- Pierluigi Casolari
- 22 feb 2024
- Tempo di lettura: 5 min
Recentemente ho iniziato a praticare un nuovo tipo di meditazione, più ispirata alla tradizione tibetana che non a quella Vipassana. Assumo la classica posizione "seduto con gambe incrociate" - chi vuole potrebbe assumere la posizione del loto o mezzo loto - con schiena dritta, occhi aperte e mani appoggiate sulle gambe o in posizione di dhyani mudra.
Gli occhi aperti sono fondamentali in questa pratica. Perché ci permettono di notare più rapidamente il momento in cui ci distraiamo.
Una volta assunta la postura corretta, ancoriamo lo sguardo ad un'area davanti a noi, distante 1-2 metri. Non fissiamo un punto esatto, ma allo stesso tempo non vaghiamo con lo sguardo. Dopo avere ancorato lo sguardo, ancoriamo il nostro udito ai suoni ambientali. Non dobbiamo ascoltare, ma solo "permetterci" di ricevere i suoni che provengono dall'esterno. Non dobbiamo farci intrappolare nella storia di quei suoni chiedendoci, se la sirena è un'ambulanza o i vigili del fuoco, nemmeno se è una sirena. Limitiamoci a dimorare nello spazio sonoro. Consolidate la dimora visiva e auditiva, prendiamo contatto con il senso del tatto, notando la sensazione di contatto dei glutei con il cuscino o l'appoggio dove siamo seduti. Possibilmente anche la sensazione dei vestiti sulla pelle. Arrivati a questo punto, spostiamo la consapevolezza aperta e morbida a tutto il corpo provando a sentirlo tutto insieme in un'unica percezione - propriocezione. Grazie a questa percezione unitaria, possiamo divenire consapevoli di dove si trovano gambe e braccia, se siamo dritti o iniziamo a incurvarci. Dopo qualche istante agganciamo a questa consapevolezza di sensi-corpo, anche quella del respiro, senza tuttavia osservarlo con focalizzazione su un punto, ma mantenendo lo stato di consapevolezza e presenza mentale morbida, estesa, osservando il respiro su tutto il corpo. Come se a respirare fosse tutto il corpo, tutto insieme. Sfruttiamo qualche istante per provare a integrare i vari canali in una presenza mentale, unica. Sebbene sarà molto probabile che un canale avrà la meglio sugli altri, nel mio caso è la vista.
La pratica consiste nel rimanere in quello stato di presenza mentale estesa, spaziosa e morbida, cercando di sostenere tale presenza con uno sforzo cosciente, in assenza del quale finiremo in pochi istanti persi nei nostri pensieri. Sforziamoci non con lo scopo di non distrarci mai, ma con l'attenzione di sostenere con determinazione ma anche gentilezza questa consapevolezza spaziosa.
Nonostante lo sforzo determinato e gentile, ogni tanto è frequente avvertire come dei glitch, dei micro blackout sensoriali, che per qualcuno sono degli annebbiamenti o in alcuni casi la sensazione di essere stato assente per qualche istante.
Per me che sono una persona visiva, la sensazione più frequente è di perdere il senso di contatto con lo spazio visivo intorno a me oppure di che si restringe il campo visivo. A volte mi rendo conto che questi offuscamenti sono preceduti da un perdita di interesse e curiosità rispetto a quello che sto avvertendo - una sorta di noia rispetto alla pratica, al mio sentire, alla mia consapevolezza. A loro volta questi momenti di noia, sono preceduti da una riduzione dello sforzo cosciente di stare nella presenza mentale ampia e spaziosa.
Osservando con attenzione, si può notare che quei micro blackout non sono altro che i pensieri e le fantasie mentali che prendono il sopravvento e offuscano la nostra presenza mentale, riducendo la nostra presa nel mondo, la presenza mentale rispetto a ciò che vediamo, udiamo, percepiamo a livello corporeo.
Questo tipo di meditazione può essere praticato in varie situazioni della vita vera, dove non serve una concentrazione focalizzata su un'azione e un punto, ma possiamo spaziare con consapevolezza allargata dallo spazio visivo a quello acustico alle sensazioni corporee. Anche in questi casi è possibile accorgersi che di tanto in tanto lo sforzo cosciente della presente di allenta e ci ritroviamo per un attimo assenti in termini di presenza mentale. Continuiamo a fare quello che facevamo, ma con il pilota automatico. Se siamo in bici, il campo visivo si restringe e solo un barlume di consapevolezza resta attiva sui sensi, solo - probabilmente - quel poco - che ci permette di accorgerci e ridestarci immediatamente se un pericolo emerge sulla strada. Ma a parte quel barlume, ci ritroviamo assenti per qualche istante.
Da questo punto di vista, questa meditazione non ha niente di diverso da altre pratiche ed esercizi. Tuttavia presenta alcuni vantaggi e benefici extra che sto testando direttamente.
meditando a occhi aperti, si incappa meno frequentemente nella sonnolenza
meditare con consapevolezza allargata all'ambiente ci permette di notare come generalmente i nostri pensieri sono intrecciati alla nostra percezione della realtà - infatti mentre osserviamo, ascoltiamo, facciamo attività emergono in continuazione pensieri, talvolta legati proprio a quello che vediamo, udiamo, facciamo.
la consapevolezza sui sensi e sul corpo, ci permette di notare gli annebbiamenti e i microblackout sensoriali, che dunque funzionano come dei trick per renderci conto rapidamente della distrazione
la maggiore frequenza con cui notiamo i blackout e dunque le interferenze di pensieri e fantasie, ci permette di notare meglio in che modo, e quando la mente tende a distrarsi - generalmente lo fa quando emerge un po' di noia.
infine, la consapevolezza allargata a più sensi ci permette di capire che forma hanno i nostri pensieri. Se il blackout è visivo è probabile che il pensiero sia fatto di immagini. Se il blackout è uditivo è probabile che il pensiero sia fatto di chiacchiericcio interiore.
La grande riflessione che emerge tuttavia è la necessità di integrare una pratica contemplativa ad una pratica meditativa. Mi spiego meglio. Quando non siamo sorretti da uno sforzo cosciente - e a volte è faticoso farlo - la nostra mente divaga continuamente. Grazie alla mindfulness e alla meditazione in generale, riusciamo a essere consapevoli dei momenti in cui siamo presenti e di quelli in cui siamo assenti. Con una pratica regolare, motivata, costante e intensa, arriviamo a livelli di consapevolezza davvero significativi. Ma resta aperta la domanda di cosa fare con questa consapevolezza? Cosa fare di e come interpretare questi pensieri che si intrufolano? Se riusciamo a capire quanto di "ciò che vediamo" è davvero nel mondo e quanto invece è nei nostri pensieri, riusciamo ad avere una rappresentazione della realtà più profonda della realtà e abbiamo la possibilità di comportarci in modo diverso. Eppure che cosa dobbiamo fare a quel punto? Qual'è il comportamento da seguire? Una volta conseguita una certa libertà dai nostri condizionamenti cognitivi, che cosa dobbiamo o possiamo fare?
In un certo senso attraverso la pratica meditativa arriviamo ad una maggiore consapevolezza dei nostri schemi mentali e dunque ad un certo grado di libertà nei loro confronti. Abbiamo dunque la possibilità di ricostruire nuovi modelli, nuovi stili, nuovi comportamenti. Siamo di fronte a nuovi possibili inizi. Ma quali? La mindfulness da sola o la mera pratica meditativa da sola non è grado di rispondere a questa domanda. Essa è dunque condizione necessaria ma non sufficiente per una trasformazione della propria vita, sia personale che spirituale. Necessaria: perché senza consapevolezza dei propri schemi è impossibile capire da dove si parte ed è impossibile essere liberi. Non sufficiente: perché una volta liberati abbiamo bisogno di una mappa per muoverci in un mondo nuovo.
Il problema di pratica senza una guida valoriale, le linee guida di una tradizione sapienziale - buddismo, stoicismo - oppure senza nuovi modelli e framework di orientamento - come l'ikigai o il mindfulness act - acceptance and committment - è che ci liberiamo dai condizionamenti ma non sappiamo che fare con questa nuova libertà.
l'obiettivo di questo post era aiutare il lettore a trovare una pratica che - almeno nel mio caso - è molto utile per liberarsi dai personali schemi mentali e arrivare rapidamente a cogliere la necessità di integrare la pratica stessa con una guida di valori e filosofia di vita.



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