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La vita è un insieme di cose impossibili che si avverano

Non è un post sulla legge di attrazione o sul pensiero positivo. Anzi forse si tratta proprio dell'opposto. Quando siamo bambini ci sembra impossibile il fatto che un giorno diventeremo stanchi e noiosi come i nostri genitori. Poi arriva immancabilmente quel giorno. Quando ci innamoriano di una persona ci sembra impossibile innamorarci di una persona completamente differente, poi immancabilmente lo facciamo. Quando siamo in salute ci sembra impossibile pensare a noi stessi con qualche malattia grave in una corsia di ospedale, magari facendo terapie pesanti e invalidanti. Poi quel giorno arriva. Più o meno per tutti. Più o meno tardi. Quando siamo a metà della nostra vita, ci sembra comunque impossibile invecchiare e non essere al passo con i tempi. Poi arriva anche quel momento. Quando siamo vivi ci sembra impossibile - letteralmente - morire. E poi arriva anche quel momento. Non ci è dato sapere quando. Pensiamo che sia impossibile che arrivi prima di una certa età. Poi generalmente accade prima del previsto.

La vita è un insieme di cose impossibile che poi si avverano. Sembra quasi che la nostra mente, in particolare il nostro intelletto sia incapace di comprendere il cambiamento. Allo stesso tempo come direbbero i buddhisti la nostra mente si aggrappa con tutte le forze a ogni identità che di volta in volta sviluppiamo, come se non fosse possibile alternativa per noi rispetto a quell'identità.


Quando studiavo filosofia mi sembra impossibile qualunque altra facoltà universitaria per il mio percorso di ricerca. Quella del filosofo era la mia identità pi profonda. Poi ho fatto l'imprenditore e anche quella mi sembrava la mia vera identità. Era quello il mio vero io, sotto la superficie tenera da intellettuale e umanista. Poi è arrivata l'identità spirituale, quella da mentor, da insegnante, da genitore, da compagno. E ogni identità si porta dietro un più che umano senso di assoluto. Una quantità indicibile di attaccamento. Come se in quell'identità ci fosse "un senso assoluto", "un per sempre", "un non finirà mai". E invece ogni identità finisce, o quanto tempo si trasforma e muta, anche quella più vera di tutte, anche quella più autentica, più vera delle altre.


Si dice che la mente mente. Mai lo fa come in questo caso, in effetti. La mente al servizio del nostro bisogno di aggrapparci a qualcosa di solido, solidifica questi momentanei rallentamenti nel flusso della vita. Nel momento in cui dal vortice della vita si distacca un coagulo meno effimero degli altri ecco che la mente lo trasforma in un'identità. Un libro che leggiamo diventa una nuova identità. Un incontro momentaneo diventa un amore della vita. Un lavoro interessante diventa la nostra identità professionale. Non appena dalle correnti mutevoli qualcosa si stabilizza un pochino, ecco che la trasformiamo nella nostra nuova casa, identità, senso.



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E quanta umanità c'è in questo incessante bisogno di fermare il flusso, di reclamare la nostra eternità? Quanta tenerezza provo per questa ricerca, che in fondo non è altro che il tentativo inutile, vano e vuoto di scongiurare la morte, la nostra dissoluzione definitiva. Eppure proprio in questo movimento di solidificazione del flusso esistenziale

non c'è solo l'allontanamento della morte, ma paradossalmente anche la sua enfatizzazione. Solidificando le increspature del torrente della vita, diveniamo isole separate. Ci sganciamo dal flusso e perdiamo la connessione con il tutto di cui siamo parte. Diventiamo individui aggrappati alle proprie identità. Io sono il manager. Io sono l'imprenditore. Io sono il capo. Io sono il professore. Io sono il guru. Io sono il genitore. L'io si estrania dal resto, che diventa il nemico. La minaccia.


Solidificando le nostre identità alziamo un muro di carta di cui temiamo la caduta. E così ci aggrappiamo a quel muro, combattendo ogni minaccia. Ma nulla può salvare quel muro. E' destinato a crollare. Se non ora. Domani. A breve. Nell'imminente futuro.


Jack Kornfield nel libro "Il cuore saggio" parla di una presa leggera sul desiderio. La chiave non è l'aggrapparsi ad ogni identità, ma forse neppure l'annullare ogni desiderio e vivere come un Buddha, in un Nirvana privo di attaccamento, dove ogni realtà è ormai etichettata come illusoria. Forse questo percorso è riservato a pochi spiriti fortunati e illuminati. La maggior parte di noi deve invece provare a navigare in mezzo alla tempesta. Dove da un lato c'è l'aggrapparsi vuoto, l'attaccamento disperato e dall'altro il Nirvana, il distacco dalla realtà. E' questa la presa dolce.


Ma dire "è questa la presa dolce" non significa nulla. Perché il punto è in ogni situazione e in ogni contesto di vita trovare quel confine sottile tra il distacco e l'attaccamento disperato, in modo funzionale e aperto. E' forse questo l'allenamento da compiere nella nostra vita? E' forse questo il cuore saggio, essere saggio e prendere le distanze ma allo stesso tempo non rinunciare alla propria natura di cuore?

 
 
 

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