La notte oscura dell'anima e la teoria della verità assoluta e verità relativa
- Pierluigi Casolari
- 21 lug 2024
- Tempo di lettura: 3 min
Nelle tradizioni spirituali esistono spesso due verità. La verità assoluta e la verità relativa. In alcuni casi, più che di verità si parla di punti di vista: il punto di vista assoluto e quello relativo. Di che cosa si tratta e perché perlarne in un blog che tratta il tema della crescita personale e spirituale?
Il motivo è semplice. La ragione che spinge molte persone a intraprendere un cammino di crescita personale sono le domande: che cosa ci faccio in questo mondo? quale è il mio compito? quale é il senso della vita?

Spesso il cammino spirituale inizia con queste domande nello zaino e nel corso del cammino si trovano tante risposte interessanti: il mio ruolo non è fare il manager, il senso della vita è vivere più contatto con la natura, la mia vocazione è la scrittura, il mio compito è aiutare gli altri, etc etc. In molti casi si tratta di risposte ponderate che ci troviamo dopo avere sviluppato un nuovo modo di stare con noi stessi.
Il punto è che ad un certo punto, sempre proseguendo il cammino potremmo anche ritrovarci in quella che molti hanno definito come la "notte oscura dell'anima". Si tratta di una fase depressiva, in cui ci rendiamo conto che anche tutto quello che avevamo scoperto di noi stessi (la vocazione, il nuovo significato, la nuova vita), non ha un reale significato. Anche questi nuovi significati - scopriamo con dolore - non ci salvano dalla sofferenza, dal dolore, dalla malattia, dalla paura della morte.
Se riusciamo a fuggire dalle tenebre della notte oscura dell'anima potremmo infine ritrovarci in una ulteriore concezione del mondo. Non si tratta però di una conoscenza, ma di una realizzazione. Questa realizzazione coincide in parte con quella che nelle tradizioni induiste è lo stato di illuminazione: ovvero la consapevolezza che noi siamo "uno con il tutto"
Da un lato dunque nel cammino spirituale scopriamo delle parti di noi più autentiche, che ci permettono di trovare una vocazione, un lavoro più soddisfacente, una vita più piena. Dall'altro scopriamo anche che tutto questo in realtà è impermanente come tutto il resto e dunque è illusorio. Ma allo stesso tempo scopriamo tuttavia che noi siamo parte del tutto, che siamo "uno con il tutto". E non lo scopriamo leggendo un libro di fisica quantistica, lo avvertiamo dentro di noi, attraverso stati di illuminazione e non dualità. Sentiamo e percepiamo che l'energia che ci attraversa è viva e che è in noi, come nelle foglie, come nelle onde, come nei suoni, come nelle persone che amiamo. Lo sentiamo e avvertiamo questa consapevolezza come più vera del vero, più reale di quello che è il mondo reale e quotidiano.
Queste due posizioni rappresentano la verità relativa (i nostri valori più autentici, la nostra vocazione - che in un certo senso sono già parte del risveglio) e la verità assoluta: l'unità del tutto come qualcosa che avvertiamo come più vero del vero. Dal punto di vista assoluto, tanto la nostra vocazione, quanto una vita di sofferenza sono indifferenti. Non c'è differenza tra le due prospettive. Dal punto di vista assoluto che io sia realizzato e felice, o che io sia infelice e non realizzato, non fa differenza. Quello che cambia dal punto di vista della verità assoluta è che percependomi come parte del tutto, comprendo che anche gli altri lo sono e comprendo che ogni dolore nel mondo è un mio dolore, che ogni lacrima versata è una mia lacrima versata, che ogni sofferenza riguarda me. Il punto però è che quel me, non è l'io individuale che cerca un lavoro, che fa meditazione, che cerca la vocazione. E non c'è un modo chiaro per riunire i due livelli.
Questa aporia è uno dei tanti modi in cui si manifesta la diaspora della verità assoluta rispetto alla verità relativa.



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