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Il senso di vuoto - ovvero la scoperta di Dukkha durante la pratica spirituale

Dopo un po' che mediti - con regolarità - è probabile che inizi ad esportare la tua capacità di osservarti fuori dal contesto formale della meditazione e che cominci ad "essere presente" mentre lavori, guidi, ti lavi i denti, guardi la TV o stai in mezzo ad altre persone.


Dopo un po' che avevo iniziato a "meditare" informalmente durante la mia normale attività quotidiana mi sono accorto di un senso di vuoto, malinconia, sottile tristezza che mi assale molto con molta frequenza. Ho iniziato a osservare questo senso di "vuoto" e mi sono reso conto che è da sempre uno dei principali moventi della mia vita. E' quando sento quel sento di vuoto che mi alzo per andare prendere qualcosa dalla credenza e fare uno spuntino. E' quel senso di vuoto che spesso mi porta a cercare qualcosa di eccitante da fare. Anche solo voler vedere un film divertente. Oppure fare qualcosa di diverso. Uscire a cena, fare qualcosa di eccitante.


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Ad un certo punto mi sono reso conto che buona parte della mia vita è stata ed è una reazione a quel senso di vuoto. Meditando in gruppo e parlando con altre persone ho scoperto che quel senso di vuoto rappresenta la silenziosa insoddisfazione che porta alle dipendenze, da sostanze, da internet, da pornografia o sesso. E da qui ho sviluppato una convinzione un po' differente rispetto a quello che avevo prima di "sentire il vuoto". Il desiderio, la brama, l'appetito, la ricerca del piacere, la ricerca di adrenalina, il desiderio di potere e riconoscimento rappresentano differenti declinazione dello stesso senso di vuoto. Non ne sono la causa, però. Piuttosto ne rappresentano la conseguenza.


Oggi molto spesso si parla delle dipendenze in termini di meccanismi neurocognitivi in base a cui una determinata sostanza o attività stimola la produzione di dopamina, che a sua volta genera un bisogno di ripetere la stessa attività o di riottenere la stessa sostanza. Si tratta certamente di un modello esplicativo ragionevole. E tuttavia sembra che quel meccanismo abbia un fondamento esistenziale ancora più profondo. Noi esseri umani siamo costitutivamente vulnerabili a questo meccanismo, perché in fondo a noi, nella parte più intima del nostro sentire c'è un senso di vuoto che spinge alla ricerca di emozioni forte, sapori forte, eccitazioni adrenaliniche. Il senso del vuoto in pratica non è la conseguenza dell'uso di sostanza ma la sua causa, la sua motivazione.


Ma che cos'è questo senso di vuoto? Probabilmente è quello di cui si parla nel buddismo con la parola Dukkha e che per Buddha è la base della prima grande verità del buddismo ovvero che esiste la sofferenza. La sofferenza esiste potremmo dire, parafrasando Gautama, e alla sua base c'è il senso di vuoto. E' quel senso di vuoto che ci rende particolarmente bisognosi di piaceri, e questa brama è quella che ci porta alle dipendenze. E quindi alla sofferenza per la mancanza di un vero soddisfacimento di quel vuoto e all'odio per tutto ciò che ci sembra impedire il soddisfacimento di tale bisogno.


Attraverso la meditazione si arriva dunque presto o tardi ad una sorta di muro dell'umano. Quello stesso muro che il protagonista del Truman Show raggiunge quando scappa dal mondo asfittico della sua città e sbatte contro i confini del mondo fittizio che gli erra costruito intorno. Ecco quel senso del vuoto è il confine della mia dimensione umana.


Così si fa quando si raggiunge il "vuoto"? Le risposte variano da persona a persona. Il regista dello show in mondo visione mentre milioni di persone guardano il tentativo di fuga di Truman, chiede al ragazzo di tornare indietro e rientrare nello show, che per milioni di persone lui rappresenta una speranza. Ma può sensatamente Truman tornare indietro? Una volta che abbiamo capito che la maggior parte della nostra vita ruota intorno al tentativo inutile di soddisfare il "senso di vuoto" e che ogni reazione, ogni scelta, ogni comportamento, ogni avventura, ogni desiderio non è altro che un tentativo di colmare quel vuoto, di reagire inconsapevolmente ad esso, ubbidendo al suo richiamo ininterrotto, possiamo veramente tornare indietro e riprendere a fare quello che facevamo prima?


Ma soprattutto: se anche decidessimo di andare avanti, trasformare noi stessi che possibilità abbiamo di trasformare il senso di vuoto in qualcosa d'altro e raggiungere una maggiore felicità? E' dunque possibile superare quel senso di vuoto? Aggirarlo? Evitarlo? Dominarlo senza esserne intrappolati?


Non sono ancora arrivato ad una risposta. Sto studiando le varie risposte offerte dai grandi saperi della tradizione. Il buddhismo più di ogni altra disciplina si è occupata di questo senso di vuoto e a seconda delle tradizioni ha offerto risposte differenti alle persone in cerca di una nuova forma di saggezza. Nel buddismo Theravada, il senso di vuoto è la via verso l'illuminazione, pur che si sappia rinunciare ad ogni desiderio e brama, raggiungendo l'equanimità e il disincanto. Nel buddismo tibetano invece quel senso di vuoto può essere affrontato trasformando il proprio desiderio da individualista a universale, divenendo dunque un bodhisattva, un essere altruistico che è guidato dalla compassione e dal desiderio di aiutare gli altri, una creatura speciale in cui la propria felicità coincide con il rendere felici gli altri. In altre tradizioni - non buddhiste - si parla invece di Ikigai. Il vuoto lo si supera trovando un senso della vita, una missione esistenziale, ma solo purché essa sia di vantaggio e porta valore anche agli altri esseri umani.


La mia sensazione è che questo senso di vuoto abbia a che fare con un senso di isolamento, di separazione dagli altri. Essendo basato su questo senso di separazione essa è fortemente eccitabile dall'idea del possesso, del fare e dell'avere (oggetti, sesso, potere). Ovvero: mi sento senza un mondo e cerco oggetti. Mi sento staccato dalle persone e cerco di possederle sessualmente. Mi sento isolato ed emarginato e cerco potere per contare qualcosa. Generalmente tuttavia queste risposte si dimostrano inadatte. Anzi invece che una soluzione rappresentano parte del problema. Una risposta più sensata e più piena forse consiste nel colmare quel senso di separatezza coltivando l'unione profonda con gli altri e con il mondo. Il problema è che se tale interconnessione non è vissuta ad un livello viscerale, profondo e reale, ma in modo concettuale o in modo superficiale il risultato è molto modesto. E tu come rispondi al senso di vuoto?



 
 
 

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