Fuga spirituale da sé stessi
- Pierluigi Casolari
- 14 apr 2024
- Tempo di lettura: 3 min
Aggiornamento: 23 lug 2024
Spesso quando si fa un percorso spirituale si finisce con il percorrere la via ascetica. Qualcosa di noi - o che abbiamo fatto - ci ha fatto soffrire o ha fatto soffrire altri e così intraprendiamo un percorso di crescita personale che diventa tutt'uno con il negare l'ego, che chiaramente diventa il capro espiatorio di tutti i problemi.
Ed è così che molte persone intraprendono un cammino che li porta non solo a guardare dentro sé stesse, ma oltre sé stessi e soprattutto a cambiare vita, stile di vita, lavoro. E questo cambiamento assomiglia in qualche modo, però, anche ad una fuga dalla propria realtà.
Ma possiamo realmente cambiare? Può il leone diventare un gazzella? il grande rischio è che insieme al pannolino sporco buttiamo via il bambino, e quel bambino - ricordiamocelo - siamo noi.
Può colui che ha fatto l'imprenditore tutta la vita aprire il chiringuito a Lanzarote, può il manager a andare a vendere gelati?

E se la chiave fosse diversa, ovvero invece che negare noi stessi, finalmente provare ad ammorbidire le parte aspre, ruvide e aride di noi, quelle oscure e aguzze che fanno male agli altri e a noi stessi? Carl Rogers ha scritto che per cambiare dobbiamo accettarci. E questo è senz'altro un paradosso, il più grande paradosso della crescita personale. Eppure tutta la saggezza antica è paradossale, è fatta di fiducia e ricerca, negazione e affermazione, accettazione e trasformazione.
Certo riprendere in mano quelle parti di noi che ci ha portato alle stelle e poi alle stalle ci fa un gran paura. Preferiremmo tenerle in un cassetto o appenderle a un chiodo.
Eppure c'è una possibile via alternativa: non è detto che tornando ad essere quello che eravamo dobbiamo esserlo alla stessa maniera. Potremmo esserlo consapevolmente. Ovvero mentre prima quello che eravamo lo eravamo completamente e totalmente. Eravamo identificati in quell'identità, assorbiti e completati. Oggi potremmo invece esserlo, senza identificarci con essa. Oppure identificarci con la vecchia identità solo per la parte e per il tempo che ci serve per svolgere alcune attività. Potremmo vivere quell'identità e vederla allo stesso tempo. Vederla esattamente come si vede un pensiero quando si fa meditazione. Una nuvola che passa nel cielo. E poi il momento dopo potremmo saltare su quel pensiero e lasciare che esso ci porti con sé per un po'. Certo è un gioco difficile....quanta paura che ci fa. Eppure esistono reali alternative?
Potremmo inoltre provare ad ammorbidire le asperità di quell'identità, grazie alla nuova capacità che stiamo apprendendo - proprio in questo modo - di accettazione e compassione. La compassione verso sé stessi si estende naturalmente verso gli altri. E così potremmo essere imprenditori più comprensivi, manager più umani e gentili, scrittori meno narcisisti.
Oggi potremmo infatti chiederci serenamente se i nostri errori, i nostri dubbi, la nostra infelicità siano legati a quell'identità e a quella persona - che eravamo noi - o al fatto che eravamo sempre identificati con essa, assorbiti fusi con essa. Potremmo anche chiederci se questa negazione di noi stessi - che abbiamo voluto per anni - non sia figlia della stessa rigidità per cui le cose sono bianche o nere, assolute o nulle - che ci ha portati prima al baratro e ora nel vuoto.
Scrive Ken Wilber che ciascuno di noi è venuto al mondo con delle carte da giocare, possiamo decidere di giocarle al meglio, con saggezza, intelligenza, cura e compassione, ma non possiamo chiederne altre. Forse il senso della pratica e del cammino spirituale e personale è tutto qua: comprendere le nostre carte, giocare al meglio con esse per poterle rendere un dono al mondo e alle persone che ci circondano e realizzare la nostra natura.



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