E' davvero sufficiente stare nel momento presente?
- Pierluigi Casolari
- 29 gen 2024
- Tempo di lettura: 3 min
Oggi gran parte della divulgazione sui canali online della spiritualità si risolve nel messaggio: stai nel "presente", stai nel "qui e ora". Spesso si accompagna alla contrapposizione tra noi adulti e i bambini e gli animali. Noi adulti ci perdiamo nei labirinti della mente. Mentre animali e bambini sono felici perché stanno nel presente, stanno in quel che c'è. Associato al tema del presente c'è poi quello del flow, lo stato di flusso o stato ottimale che è uno degli altri "must" della "spiritualità degli ultimi anni". Attraverso il flow entro in uno stato ottimale di coscienza, che migliora performance e presa sul reale. Il flow è una sorta di "super-stare" nel presente. Nello stato di flusso non abbiamo più bisogno di impegnarsi per non distrarci. Il coinvolgimento con la realtà è talmente rilevante che non ci distraiamo proprio.
In generale tuttavia, né lo stato di presenza mentale nel qui e ora, né lo stato di flusso sono a mio avviso condizioni associabili ad una dimensione spirituale. O meglio dal mio punto di vista sono condizioni necessarie, ma non sufficiente per una vita spirituale.
Basta un esempio stupido per far capire cosa intendo. Io posso essere pienamente nel presente mentre decido di buttare pietre da un ponte sopra l'autostrada, soffermandomi sulle sensazioni corporee, il senso di fatica di alzare il masso, l'agitazione interiore di stare per commettere un grave reato e crimine. Oppure posso essere in uno stato di flusso mentre mi disimpegno in una rissa furiosa. ad ogni mia azione corrisponde una reazione e in base ad esse il mio comportamento cambia e si modifica. E' evidente dunque che non è sufficiente stare nel qui e ora per sviluppare un percorso di crescita personale. Perchè tutto dipende da cosa faccio entrare in quel "qui e ora". Ci faccio entrare una vita superficiale? Oppure ci faccio entrare il desiderio di aiutare gli altri. E il desiderio di aiutare gli altri, essere benevolo nel mondo, limitare le sofferenze altrui non è un qualcosa di intrinsecamente legato al qui e ora.
La meditazione e altre pratiche ci aiutano a stare nel qui e ora. Ci aiutano a disidentificarci dai nostri pensieri e quindi a stare nel presente in compagnia solo di quello che c'è a livello di ambiente esterno e di ambiente sensoriale e sensazioni corporee. Ma è evidente che questo non basta.
John Vervaeke filosofo canadese e studioso di meditazione e spiritualità parla di "ecology of practices". Non basta una pratica, soprattutto se si tratta di una pratica formale come la meditazione. Occorre piuttosto un insieme di pratiche e di guide che aiutino le persone a creare il quadro cognitivo idoneo per uno sviluppo personale e spirituale e allo stesso tempo a muoversi all'interno di un quadro etico e di comportamento adeguato.
Il fatto che nel corso degli anni 70 la meditazione e lo yoga siano stati estrapolati in occidente dalla filosofia buddista e induista, dall'ottuplice sentiero buddista e dagli 8 passi dello yoga li ha resi molto più appealing al grande pubblico ma li ha privati del contenuto spirituale che li ispirava.
Questo è un po' come dire che la crescita personale e spirituale di una persona è forma e contenuto. La forma è data da una serie trasformazioni cognitive che aiutano a stare nel presente, a entrare nel flusso in stati alterati di coscienza. Il contenuto è fornito spesso dagli insegnamenti di saggezza dei grandi pensatori e maestri spirituali afferenti al buddismo, al cristianesimo, allo stoicismo, al taoismo e altre tradizioni che si sono occupate dell'uomo e della sua vita, per guidarlo e aiutarlo.
Nello stesso filone operano alcuni movimenti pseudo spirituali che utilizzano alcune pratiche in grado di potenziare e alterare gli stati di coscienza e che utilizzano il richiamo alla spiritualità come specchietto per le allodole ma che in realtà esaltano il raggiungimento di obiettivi economici, materiali e decisamente terreni: legge d'attrazione, manifesting, PNL, Soka Gakkai. In questo caso il linguaggio vagamente spirituali e il riferimento a mantra e pratiche è inserito in un contesto che esalta il raggiungimento di obiettivi spirituali.
La mia definizione di spiritualità è invece inscindibilmente legata all'idea di trascendenza rispetto ai propri obiettivi spirituali e all'operare in modo da tale da generare benefici per tutti gli esseri senzienti. Solo dove l'ego si disidentifica dai propri personali obiettivi, come suggerisce il filosofo Ken Wilber, possiamo parlare di spirito.



Commenti