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Differenti effetti a seconda del tipo di meditazione

Quando si parla di meditazione da un lato emerge una sorta di esoterismo, secondo cui si tratterebbe di una sorta di preghiera orientale, dall'altro una certa ingenuità nello spiegarne gli effetti. Non passa giorno che non si senta di qualche studio secondo cui la meditazione migliora il sistema immunitario, la pressione sanguigna, il ritmo cardiaco, la depressione, gli stati ansiosi etc etc.


Per portare un po' di chiarezza, occorrerebbe distinguere gli effetti che derivano dal modello d'azione specifico della meditazione da quelli che potremmo definire effetti secondari oppure effetti collaterali positivi. Questo approccio ci permetterebbe di capire in quali casi usare la meditazione, al di là del fatto, che molto probabilmente è sempre o quasi utile praticarla.


Il miglior modo per identificare gli effetti della meditazione è farli derivare dal modo in cui viene praticata e dalle facoltà che vengono messe in gioco. In pratica è il modo in cui la specifica meditazione è progettata che determina i suoi effetti. Il mondo delle meditazioni è molto ampio, soprattutto se genericamente inteso e comprensivo di visualizzazioni, meditazioni vere e proprie e contemplazione. In questo post ci concentreremo sulle meditazioni in senso stretto, che prevedono una sorta di stacco rispetto al mondo esterno e chiedono al praticante di sviluppare presenza mentale. Generalmente nelle meditazioni ci sono dei tratti caratteristici. Uno di questi è l'attenzione posta verso l'interno invece che l'esterno; l'altro è l'utilizzo della facoltà della consapevolezza o presenza mentale come elemento centrale della pratica, in contrapposizione alle visualizzazioni e al pensiero discorsivo che caratterizza il classico dialogo interiore.


Prendiamo in considerazione alcuni tipi di meditazione per vedere quali facoltà vengono utilizzate in ciascun caso e come questo abbiamo un impatto sugli effetti di tali meditazioni sullo sviluppo personale e spirituale (non sulla salute).


Meditazione sul respiro

Nella meditazione del respiro il soggetto presta attenzione al respiro, cercando di sentire o percepire l'aria che entra durante l'ispirazione e l'aria che esce durante l'espirazione in specifiche aree del corpo, come le narici o l'addome. Ogni volta che una catena di pensieri, di immagini o di suoni distolgono la presenza mentale dal respiro e il praticante si distrae, non appena se ne accorge egli è invitato a tornare sul respiro, prestando nuovamente attenzione alle sensazioni dell'aria che esce ed entra. Nel momento in cui distrae e conseguentemente se ne accorge, il praticante è anche invitato a non giudicare sé stesso e a non giudicare nemmeno il contenuto dei suoi pensieri, limitandosi ad osservarli e lasciarli andare, ovvero senza farsi trascinare dalla concatenazione dei pensieri o dall'interpretazione di suoni e immagini che vede.


Se analizziamo la pratica, emerge che essa promuove: 1. l'utilizzo della presenza mentale, ovvero della consapevolezza

2. il non farsi trascinare dalla catena dei pensieri

3. il ricordarsi della meditazione - ogni volta che ci si perde e si ritorna presenti

4. l'attenzione rispetto all'oggetto della meditazione

5. il non giudizio rispetto ai contenuti mentali

6. la gentilezza verso sé stessi e i propri limiti

7. la pazienza del ritornare sempre al respiro


Appare dunque chiaro che durante la meditazione, il soggetto fa ampio utilizzo di facoltà, competenze e/o qualità della nostra mente che vengono progressivamente allenate. Semplificando molto potremmo dire che i benefici principali della meditazione sono determinati proprio dal fatto che durante la pratica vengono allenate determinate qualità della mente, esattamente come si allena un muscolo in palestra o come si addestra un'abilità ripetendola costantemente. Nella meditazione del respiro vengono sviluppate la presenza mentale, la pazienza, la capacità di osservare senza giudizio, la gentilezza verso sé stessi, la concentrazione, lo sforzo e l'attenzione.


Nel corso di anni l'allenamento di queste facoltà permette la progressiva dis-identificazione rispetto ai contenuti mentali che vengono sempre più percepiti come oggetti della conoscenza, invece che come flussi indistinti che influenzano inconsciamente la nostra visione del mondo, questo permette al soggetto di essere sempre più guidato dalle proprie decisioni, invece che dalle proprie reazioni inconscie e reattive alle situazioni. Allo stesso modo, pazienza, non giudizio, gentilezza si trasformano nel tempo nell'equanimità, ovvero in un maggior distanziamento emotivo rispetto alle situazioni. L'Equanimità non coincide con il distacco e l'indifferenza, ma piuttosto con una sorta di visione dall'alto rispetto a quello che succede, senza giudicare e valutare aprioristicamente le cose. L'impatto di queste acquisizioni e potenziamenti nella vita di una persona sono davvero ampi.


Ora proviamo a ragionare su come specifiche tipologie di meditazione agiscono su specifici parametri privilegiando l'uso di determinate facoltà


Nella meditazione Vipassana, il praticante è invitato ad aumentare il più possibile la propria capacità di concentrazione e attenzione in un singolo punto del corpo - per esempio le narici dove si può avvertire l'entrata e l'uscita d'aria, durante la respirazione - e poi a muovere la propria capacità di presenza mentale/consapevolezza diventata una sorta di raggio laser nel corpo, per identificare tutte le sensazioni che appaiono e scompaiono nel corpo. Quando poi durante queste continue scansioni vengono avvertite specifiche sensazioni, queste vengono analizzate, osservando quando emergono, se si trasformano o meno, quando e se si dissolvono, se sono piacevoli, spiacevoli o neutre, se producono a catena reazioni in altre parti del corpo, o piacere e avversione. Ogni volta che ci si distrae, e la mente inizia a vagare seguendo altri pensieri, intorpidendosi a causa della sonnolenza, oppure distratta da immagini o suoni, il praticante è invitato a tornare alle sue scansioni, senza giudicare le distrazioni e divagazioni, senza perdersi in esse, senza rammaricarsi di essersi perso.

Nella Vipassana, a differenza della classica meditazione sul respiro, che è una pratica classica della mindfulness e una pratica base nel buddismo (shamata) le facoltà maggiormente espresse sono:

  1. La concentrazione

  2. La capacità della mente di scomporre sensazioni più grandi in sensazioni più piccole (generare insight)

  3. L'attenzione al corpo


Quindi è verosimile pensare che la pratica della Vipassana permetta di sviluppare specificamente la capacità di concentrazione e di ottenere insight, intuizioni profonde, soprattutto a livello del corpo, consentendo dunque il raggiungimento da parte del praticante di un rapporto più oggettivo con il proprio corpo. A prescindere da quello che si afferma nell'ambito della dottrina buddhista secondo cui attraverso l'analisi delle sensazioni si arriva alla verità ultima dell'impermanenza, molto prosaicamente la progressiva dis-identificazione e/o distanziamento dal corpo permette di avere un rapporto più equilibrato con tutto quello che passa per il corpo, dalle sensazioni alle emozioni, dai propri bisogni agli istinti.


Laddove l'obiettivo fosse maggiormente quello di dis-identificarsi dai propri pensieri e schemi mentali, occorrerebbe probabilmente lavorare su altre forme di meditazione, che tendono a mettere maggiormente a fuoco il processo del formarsi e del dissolversi dei pensieri. Da questo punto di vista, io personalmente sto trovando molto utile meditare con un tipo di presenza mentale molto più allargata, centrata sull'intero corpo, senza focalizzare l'attenzione su qualcosa in particolare semplicemente dimorando in questo stato di presenza completa di tutti i sensi e del proprio corpo intero. Quando faccio questo tipo di meditazione a occhi aperti, mi limito a osservare qualunque cosa appaia alla coscienza, senza privilegiarne nessuna. E dunque i pensieri, che nella Vipassana sono messi un po' da parte, con questo tipo di meditazione emergono più facilmente, con la stessa sommessa chiarezza delle altre percezioni (suoni, immagini, colori, forme, sensazioni di contatto, etc) . Questo tipo di meditazione, praticata nella tradizione tibetana del buddhismo, permette anche di intrattenere un rapporto diverso con l'ambiente circostante, che percepisco per intero, ma con cui non interagisco. Anche nella Vipassana percepisco l'ambiente circostante, ma l'attenzione è rivolta come un laser sulle sensazioni. In questo caso invece l'attenzione è allargata, la presenza mentale è spaziosa ed è in uno stato di ricettività, invece che di investigazione. E' come un essere nel mondo, senza fare nulla, essere un puro Testimone. In effetti il tema del testimone, il puro osservatore è presente nella tradizione buddhista tibetana, più di quanto non sia in quella Theravadica, in cui si è originata la Vipassana. Nello stare così aperto e senza agire nel mondo, in modalità di pura ricettività, la mente inizia ad apparire come uno specchio che tutto riflette e sviluppando questa attitudine, inizio sempre di più a vedere i pensieri, come nuvole all'interno del cielo. La mente mi appare sempre di più come un cielo limpido, anzi come uno stagno d'acqua limpida e immobile che riflette qualunque cosa.


Per quanto queste mie riflessioni siano altamente speculative, non di meno poggiano sulla mia esperienza personale, che seppure breve (qualche anno). La conclusione di queste post è che dovremmo iniziare a usare differenti tipi di meditazioni per differenti obiettivi, in modo da allenare i giusti muscoli necessari di volta in volta per il nostro sviluppo mentale.

 
 
 

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