Dall'inclusione all'accettazione radicale nelle organizzazioni e nella società
- Pierluigi Casolari
- 31 lug 2024
- Tempo di lettura: 2 min
Aggiornamento: 2 ago 2024
Siamo passati da una società e da organizzazioni che escludevano gruppi di persone, etnie, individui dall'orientamento differente a organizzazioni paladine dell'inclusione e della diversità. E questo rappresenta di certo un passo avanti.
Ancora oggi però questo approccio all'inclusione e alla diversità è totalmente ideologico. Si ragiona per categorie (gli omosessuali, le lesbiche, i non binari, i latini americani) e per assiomi morali (preferenze sessuali, diritti sociali alternativi a quelli tradizionali). Il risultato è lo scontro con le organizzazioni e con i gruppi sociali conservatori e tradizionalisti.
Un approccio differente è quello basato sull'accettazione totale. L'accettazione radicale è post-ideologica. Non si basa sull'accettare una persona in base alla categoria a cui appartiene. Si basa invece sull'accettazione radicale della sua individualità unica, preziosa e irripetibile.

Il problema dell'attuale approccio all'inclusione è che finisce per non essere radicale. Se un gruppo rivendica l'inclusione al di fuori dell'ideologia progressista e di sinistra potrebbe non vedere vista riconosciuta la sua richiesta. Durante il Covid chi sceglieva di non vaccinarsi era stato escluso, ghettizzato ed emarginato. Il motivo è che l'inclusione era ed è pensata in chiave ideologica e basata su scelte politiche o economiche.
La nuova cultura che invece dobbiamo sviluppare è quella dell'accettazione radicale non della categoria ma della singola, unica e speciale persona, con tutte le sue idiosincrasie, vulnerabilità, sensibilità, pregi e difetti.
Che cosa vuol dire accettazione radicale? Vuol dire che il giudizio sulle persone non può in nessun caso divenire metro di valutazione. Noi giudichiamo costantemente le altre persone e noi stessi. E giudicando definiamo ciò che è giusto o sbagliato, ciò che è bello e ciò che è brutto. Tutto questo è perfettamente normale, solo che al di là dei limiti essenziali legati al non nuocere gli altri, l'atto del giudicare non può divenire un metro di valutazione e un parametro per definire ciò è etico e ciò che non lo è.
L'accettazione radicale consiste nell'accogliere la persona in tutta la sua imperscrutabile complessità e unicità, con apertura, curiosità e ascolto. Una cultura basata sull'accettazione radicale è una cultura in cui le persone hanno interiorizzato e fatto proprie le competenze dei counselor e degli psicologi: ascolto senza giudizio e partecipazione empatica.
Dovremmo dunque iniziare ad immaginare le organizzazioni come "safe spaces" in cui le persone si sentono accolte in maniera radicale e totale e dove possono portare tutto quello che sono, non solo la maschera dell'ufficio.
Da tempo si ragiona su come ridurre la componente del lavoro per fare spazio alla vita. Ma la prospettiva potrebbe essere fortemente limitante, perché potrebbe ridimensionare un aspetto determinante della creatività umana. Non sarebbe più interessante fare in modo che la vita tutta intera potesse entrare nel lavoro e confluire al suo interno?
Quando l'inclusione diverrà accettazione radicale il conflitto sociale verrà ampiamente ridimensionato, tanto all'interno delle organizzazioni quanto nell'ambito sociale e culturale.



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