Credenze teologiche versus trasformazione spirituale
- Pierluigi Casolari
- 19 feb 2024
- Tempo di lettura: 5 min
Ancora oggi leggo importanti teologi e filosofi, come Vito Mancuso, parlare di Dio in termini di concetto e pensiero. Per esempio si parla di Pensiero dell'assoluto o di pensiero che si pensa da solo e che quindi dimostra la trascendenza della nostra mente rispetto qualcosa d'altro.
A mio avviso è una via sbagliata per provare a scoprire la trascendenza. Non fosse altro per il fatto che in 2500 anni questa via non ha portato nulla di buono e soprattutto non ha retto agli attacchi razionalisti, che a partire dall'illuminismo hanno confutato in ogni modo possibile, l'idea che con il pensiero si possa dimostrare il divino.
Tendenzialmente come dimostrano 100 anni di storia di psicologia del profondo e oltre 2000 anni di filosofie perenni, il pensiero è debole e soffre di una serie di limiti strutturali che possiamo indicare come segue:
il pensiero viene pensato - è meno attivo di quanto sembri (questa è una delle prime evidenze che si hanno quando si pratica mindfulness)
il pensiero è fortemente influenzato da forze non razionali che lo piegano a pensare e seguire catene di ragionamento diverse a seconda della forza sottostante
il pensiero (e pure il ragionamento logico razionale) possono essere utilizzati per dimostrare una cosa e il suo contrario. Questo rende l'evidenza molto bassa per la maggior parte delle argomentazioni intellettuali (altrimenti non saremmo arrivati ad avere certezze assolute circa l'energia nucleare, l'origine dell'universo, l'omeopatia, l'agopuntura, la natura della luce, i quanti, etc???)
Alla luce di queste forti limitazioni il pensiero che fatica a trovare evidenze, anche quando organizzato in un metodo scientifico, relative alla natura fisica e chimica del mondo, come potrebbe arrivare a dimostrare verità ultime, circa il significato della vita, la presenza del divino e la trascendenza? Non lo fa e in effetti, anche i teologi come
Vito Mancuso, pur dall'alto di una cultura sterminata in termini filosofici e teologici, non arrivano molto di là di dove era arrivata la scolastica, la teologia classica, la filosofia idealista. Che già sono state ampiamente bocciate dal corso della storia.
E non sono state bocciate queste tradizioni filosofiche perché false, ma perché non hanno saputo indicare la via per arrivare al nocciolo di verità di quelle teorie. Non hanno fornito un set di istruzioni, di esperienze, pratiche, evidenze che ciascun uomo sulla terra potesse fare per arrivare a quelle verità.
Il fatto è tanto più stupefacente in quanto molte delle tesi dei grandi sistemi metafisici occidentali (idealismo romantico, neoplatonismo, etc) sono estremamente vicine alle grandi tradizioni spirituali orientali (vedanta, sufismo, buddismo tibetano e tantrico).
La differenza tra le due tradizioni esiste ma non è nel nocciolo di verità sotteso e non è neppure nell'esercizio del ragionamento e dell'intelletto (l'uso della logica nel buddismo zen è raffinatissimo, come dimostra il caso dei famosi koan), ma è nell'ecologia di pratiche meditative, contemplative, tantriche e yogiche che sono state ideate nel corso dei millenni e perfezionati da decine e decine di generazioni di yogi, saggi, monaci e studiosi. E' questa la grande differenza tra la teologia e la metafisica occidentale, purtroppo, ancora in auge oggi e la tradizione spirituale orientale. Il pensiero occidentale ha escluso la pratica, divenendo settario, debole, narcisista e incapace di difendersi dagli attacchi del materialismo scientifico
Ken Wilber parla di traslazione e trasformazione. Qualunque religione o metafisica e teologia è traslativa se si basa sulla fede o sulla ragione. Sia la ragione che la fede sono infatti contenuti mentali e in quanto tali non sono in grado di trasformare la coscienza, essendo un sottoprodotto della stessa. Sarebbe come ipotizzare che le onde possano trasformare l'oceano o che le nuvole possano trasformare il cielo. No, non è possibile. Tutti i tentativi di trasformazione spirituale basati su traslazione, ovvero su fede e intelletto, possono essere al più ancillari, rispetto all'esperienza diretta dello spirito e del divino.
All'opposto gran parte della spiritualità orientale è trasformativa in quanto basata su una serie di pratiche che hanno il fine ultimo di trasformare la coscienza. Attraverso un intensa pratica meditativa (come avviene nei ritiri di Vipassana), attraverso esperienze sciamaniche (come quelle del Vision Quest), attraverso tecniche di respirazione profonda (pranayama, rebirthing, respirazione olotropica), attraverso determinati esercizi (tantra, kundalini), attraverso specifiche esperienze estreme e/o di privazione e martirio (come nella tradizione mistica cristiana), attraverso drammatiche esperienze esistenziale (forti traumi, near death experience), attraverso l'uso di sostanze espansive della coscienza (psichedelici) è possibile indurre elevazioni della coscienza che permettono di accedere a livelli di realtà normalmente preclusi.
Questi stati di coscienza trasformati, espansi, elevati, più profondi non sono glitch elettrici e neurochimici che generano visioni allucinatorie, ma porte di accesso ad una realtà più ampia. Oggi addirittura stanno arrivando a queste conclusioni le neuroscienze e la neurobiologia, che hanno dimostrato come alcune di queste pratiche trasformano addirittura i tratti fisiologici e neurochimici del cervello ma non del senso di una alterazione patologica, ma nel senso di una maggiore strutturazione e di aumento della plasticità cerebrale. Ovvero, queste pratiche inducono trasformazione della coscienza che permettono di accedere ad una realtà più profonda, più reale (really real, come scrive il filosofo John Vervaeke)
Non è dunque la teologia traslativa, nemmeno quella super colta e autoconsapevole dei teologi contemporanei che de-antropomorfizza il divino a portarci verso quelli stati profondi, sebbene potrebbe senz'altro essere di stimolo ad iniziare un percorso. ll problema è però, come dice Ken Wilber, che ogni sistema metafisico basato su ragione e credenza è destinato a crollare su sé stesso nella mente del lettore, corroso dallo stesso funzionamento farraginoso del pensiero. E una volta crollata non lascia nulla, non ci fa sentire meno soli, separati, disperati e alleggeriti dell'angoscia esistenziale.
Purtroppo le religioni non assolvono a quell'obiettivo, si propongono di farlo, vorrebbero farlo, lo fanno forse a livello sociale. Ma non ci riescono realmente. L'essere umano credente resta solo e disperato di fronte alla morte, in quanto la credenza è un contenuto mentale debole, labile e non-permanente.
Come riporta invece Steve Taylor nelle sue ricerche sugli stati di illuminazione, in concomitanza con una lunga pratica spirituale o per via di eventi - spesso - traumatici della vita delle persone, avvengono trasformazione che portano ad una ridefinizione ampia e radicale della prospettiva di vita, una trasformazione nella visione del mondo e nel rapporto con la realtà. In questi stati di illuminazione che possono essere fugaci o permanenti scompare più o meno completamente la paura della morte, lo stato di separazione rispetto alla realtà e alle altre persone. Nessuno di questi stati potenziati di coscienza avviene in seguito alla lettura di un argomentazione filosofica sull'esistenza di Dio.
In pratica e per concludere, per uscire dal dolore senza fine del dukkha, del senso di isolamento rispetto alla realtà, dal senso di separatezza rispetto al cosmo e agli altri esseri umani, dall'angoscia esistenziale non esiste altra via che quella di una lunga, costante, faticosa pratica spirituale.



Commenti