Che rumore fa la felicità
- Pierluigi Casolari
- 2 mag 2024
- Tempo di lettura: 3 min
Aggiornamento: 19 lug 2024
Insieme, la vita, lo sai bene
Ti viene come viene, ma brucia nelle vene
E viverla insieme
È un brivido, è una cura
Serenità e paura
Coraggio ed avventura
Da vivere insieme, insieme, insieme, insieme a te
(Negrita, Che rumore fa la felicità)
Le tradizioni spirituali insegnano che la felicità non deriva dai piaceri, né da quelli carnali e materiali né da quelli più raffinati. I primi sono paragonabili all'acqua salata: placano la sete momentaneamente, ma poi intensificano il desiderio ancor di più. I secondi, legati allo status e al possesso, creano attaccamento e quindi infelicità. Pertanto, non è il possesso di un'auto, di una famiglia ideale, di un partner attraente o di una casa lussuosa a garantire la felicità. Anzi, da certe prospettive, queste cose possono addirittura sottrarcela.

Allora alcuni di noi si imbarcano in un percorso spirituale per cercare la felicità. Una parte di chi si incammina scopre rapidamente l'importanza del momento presente, "The Power of Now" scrive Eckart Tolle. Se la felicità esiste in effetti non può che esistere nel momento presente.
Eppure nel momento presente accade di tutto, le cose belle e quelle brutte. Il momento presente non può essere protetto dall'impermanenza della realtà. I momenti belli vanno e vengono, quelli brutti fanno altrettanto. Nel momento presente inoltre a volte siamo dominati dalle nostre credenze limitanti e non riusciamo a esprimere la persona che vorremmo essere. Allora la ricerca della felicità si sposta verso un'altra stazione della grande processione della vita: la vocazione. Chi non ha trovato la felicità nei piaceri e non è soddisfatto del qui e ora - che è tanto bello quanto brutto, tanto meraviglioso quanto terrificane - procede verso un altro capitolo della sua ricerca spirituale: la ricerca del significato, la vocazione, l'ikigai, il daemon.
In base a questo approccio, la felicità non è qui e ora, nell'accettazione del presente, ma consiste nel dare forma al proprio daemon, alla propria vocazione. Scriveva Hillman, il grande psicologo junghiano, che nostro compito è dare origine alla quercia che in "nuce" è presente nel seme che ora siamo.
Chi di noi non è andato alla ricerca di quella vocazione o del purpose. Il business del purpose è davvero fiorente: corsi, ritiri, seminari, workshop, metodi, framework, corsi di laurea, startup, maestri spirituali. L'offerta per trovare il proprio daemon è davvero ricca e differenziata. Ma una volta intrapreso il percorso che ci porta al daemon, che cosa scopriamo? Ammesso che trovarlo non è per nulla facile, ma anche ipotizzando di averlo trovato, avremmo così raggiunto la felicità?
Chi ha trovato il daemon poi è felice? Chi riesce a fare il lavoro dei suoi sogni poi è felice? Il rumore della felicità è quello del daemon che ci sussurra nelle orecchie e ci permette di realizzare la quercia che era in noi?
E se invece con il daemon tornassimo al punto di partenza, un po' come a Monopoli quando facciamo la giocata sbagliata e ripartiamo dal via? Se il Daemon fosse un regresso all'attaccamento, una nuova strada che la brama si è fatta nella nostra vita? A volte è il corpo che ci avverte che dietro alla vocazione c'è una nuova brama, che quella contrazione e fissa concentrazione e attrazione che sentiamo è il nostro attaccamento, camuffato.
Se la felicità non è nel vivere nel qui e ora e non è nella vocazione, allora dov'è? Esiste, soprattutto?
Forse non è la destinazione o la meta finale, il daemon. Ma la nostra ricerca infinita e incessante del daemon stesso. Il movimento libero alla ricerca della vocazione, esplorando la propria libertà, autonomia, valori, significati.
La parte bella della ricerca del daemon, non è il fatto che trovi qualcosa dentro di te che assomiglia ad una vocazione, ma il fatto che cerchi dentro di te e scopri te stesso. Forse è questa la felicità la ricerca infinita e illimitata all'interno di sé della stessa fonte della felicità:
Suona un po' circolare, ma in un certo senso forse la felicità è la ricerca della felicità, la curiosità di guardare dentro di sé per andare ala ricerca di qualcosa di più grande, l'aspirazione alla saggezza, l'aspirazione all'illuminazione, la spinta verso qualcosa che ci trascende.
Come si traduce questo concretamente? Si traduce nel seguente modo:
la felicità non è il risultato, ma il percorso, ogni attimo del percorso (qui e ora)
Ma non si tratta di un percorso casuale, mosso solo dal vento, come quello della foglia, è un percorso guidato da una ricerca
Il daemon non è un risultato finale, ma l'insieme di segni, sussurri, intuizioni e strumenti che ti guidano nel percorso



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