Alcune differenze tra buddismo theravada e tibetano
- Pierluigi Casolari
- 21 mar 2024
- Tempo di lettura: 3 min
A chi si avvicina al buddismo, all'inizio, tutte le correnti sembrano simili e le differenze per lo più teoriche e astratte. Ma ad uno sguardo approfondito però queste differenze iniziano a mostrarsi come molto rilevanti. Soprattutto in termini pratici, ovvero quando del buddismo si fa embodiment e si cerca di viverlo concretamente sulla propria pelle.
La differenza che sto vivendo in modo principale è quella relativa all'atteggiamento esistenziale di fondo. Nel momento in cui provo a fare embodiment del buddismo theravadico, avverto come una sensazione rinunciataria rispetto alla vita. La vita viene percepita come piena di tentazioni e la via per la serenità è l'osservazione equanime di queste tentazioni - piaceri, brama, desideri - al fine di distaccarsi da essi, disidentificandosi progressivamente dal corpo, dalla mente, dall'ego. Al netto del fatto che non ho raggiunto nessun Nirvana, ciò che mi frena in questo percorso è la sensazione di depressione totale che mi assale nel momento in cui mi propongo di percorrere fino in fondo questa via. Mi sembra che non ci sia gioia in questo percorso. Anche gli stessi ritiri di Vipassana costituiti da 10 giorni di privazioni e silenzio mi generano un senso di distanza, frustazione e depressione. Certo al termine di questi ritiri, avrò visto che tutto è impermanente, che non c'è un sè, che siamo solo un fascio di aggregati e sensazioni corporee, che il desiderio e i piaceri sono inutili distrazioni.
Ma sarò più felice, sarò una persona migliore, sarò in grado di portare gioia e conforto nel mondo?
La via tibetana al buddismo è molto differente. L'obiettivo non è l'equanimità, il distacco dal mondo, il nirvana. L'obiettivo è tendenzialmente l'altruismo. L'illuminazione è l'unità con il tutto, non il nulla, il raggiungimento del vuoto, l'ascesi. Quando mi immergo nel sentire tibetano, colgo altre potenzialità dentro di me. Colgo il fascino per il mondo tantrico, che non è il sesso libero, ma l'approccio principe alla spiritualità tibetana: ovvero l'idea che ogni esperienza, ogni pratica, ogni momento, agni area della vita può portarci all'illuminazione ed è essere un veicolo per l'illuminazione. Il corpo, il sesso, la musica, la danza, il canto, l'arte, il lavoro, l'amicizia, la genitorialità, camminare, correre e ridere possono guidarci all'unione con il tutto.
Abbiamo già sentito queste affermazioni. Tutto è amore, tutto è assoluto. La favola hippie e fricchettona new age per cui qualunque cosa alternativa è spirituale. Nel buddismo tibetano non è esattamente così, sebbene comunque la filosofia new age è comunque parzialmente corretta. Ogni esperienza può essere spirituale se assolve ad una serie di condizioni fondamentali, ovvero che non sia nociva per nessuno, che sia guidata da intenzioni spirituali, dalla volontà di raggiungere illuminazione e intrisa di altruismo, che sia mossa e articolata attraverso la retta parola, il retto pensiero, delle rette intenzioni e praticata con saggezza, concentrazione, attenzione e rispetto.
Ogni esperienza, campo, momento della vita può essere un veicolo per la spiritualità e l'unione con il tutto, ma serve pratica e principi solidissimi. Uno dei principi del buddismo tibetano è espresso in una frase di Pema Chodron: "quando provi e vivi qualcosa di bello, meraviglioso e piacevole non sentirti in colpa, non rinunciarvi, piuttosto desidera che tutte le persone del mondo possano beneficiare di questo momento o goderne loro stessi".
Questo è il principio del Tonglen, la pratica tibetana, che prevede di pensare di condividere con tutti le cose belle che ci capitano e di inviare un pensiero, un intenzione di positività a tutte le persone che soffrono.
Possiamo trovare l'assoluto in ogni cosa, il vuoto nella forma, l'uno nei tanti, la libertà nella necessità del mondo. Non c'è fuga dal mondo, dalla propria vita ordinaria. L'illuminazione è qui e ora, nel tuo lavoro, nella tua vita, nel modo in cui fai l'amore, nel modo in cui accarezzi il tuo gatto, quando porti in bicicletta tuo figlio, quando scrivi una poesia. Ecco questa prospettiva, che ho scoperto grazie alla lettura del buddismo tibetano di Ken Wiber, mi ha aperto una nuova prospettiva sul buddismo e sulla vita. Non più una vita di rinuncia, in fuga da ogni contaminazione con il mondo, a gambe levate dal Samsara, per eliminare la brama e Dukka. Ma una vita proattiva, dentro al mondo, cavalcando il mondo, divenendo veicolo dell'assoluto dentro ogni istante e ogni angolo della realtà.



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